Una predizione fatta anche in precedenza da molti e che si conferma vera con l’ultimo DPCM: lo smart-working è una tendenza destinata a rimanere.
Se prima della pandemia lo smart-working era considerato un privilegio riservato solo al top-management delle aziende, adesso è una tendenza destinata a diventare parte integrante della cultura lavorativa italiana anche dopo la fine della pandemia.
È tuttavia opportuno fare alcune precisazioni. La prima è che è durante questi mesi non c’è stata una vera implementazione dello smart-working nel senso vero del termine, ma più che altro una scelta forzata che ha consentito a molte aziende di rimanere aperte. Infatti, il lo smart-working prevede che un lavoratore possa lavorare da qualunque location geografica e nella fascia di lavoro a lui più consona a patto che porti a termine il lavoro di qualità entro le scadenze stabilite. La tendenza che noi abbiamo visto invece, non è altro che la transizione degli stessi orari lavorativi presso la nostra abitazione. Una differenza in termini di flessibilità alquanto importante e di cui dobbiamo tener conto.
“Flessibilità” è la parola chiave di questo contesto. Se è vero che gli orari d’ufficio devono venire rispettati e che in molti casi non ci è concesso lavorare ovunque vogliamo, c’è anche da dire che la nostra routine è diventata più flessibile. Abbiamo più tempo a disposizione, possiamo occuparci di piccole faccende domestiche come fare una lavatrice per esempio, pranzare assieme ai nostri cari e coltivare legami per noi preziosi. Non è un caso infatti che la produttività dei dipendenti sia aumentata durante il lockdown (e anche nei mesi successivi nei quali si è continuato a lavorare con questa modalità). In generale, dipendenti sentono più liberi, soddisfatti e quindi più produttivi.
Tuttavia, c’è una minoranza (10% dei dipendenti) che è scontenta. Il primo motivo fra tutti di questo malcontento è l’alienazione. Il lavoro ha sempre rappresentato una parte importante delle nostre relazioni sociali che adesso è venuta a mancare. In futuro quindi si assisterà sempre più a delle modalità di lavoro ibride. La prima è quella di dare ai propri dipendenti la scelta, e quindi la libertà, di lavorare da casa oppure in ufficio. La seconda modalità è il co-working, ossia gruppi di liberi professionisti e dipendenti che condividono gli stessi spazi lavorativi con zone di svago e bar, e che perciò hanno anche l’opportunità di socializzare.
In un mondo interconnesso come il nostro lo smart-working non ha solo inevitabili conseguenze sulla nostra routine lavorativa ma anche su tutte quelle attività in qualche modo erano collegate agli uffici. I bar, i ristoranti e i negozi che rallegravano le nostre pause pranzo sono solo un esempio. C’è poi da chiedersi che fine faranno gli uffici lasciati semi-vuoti per mesi. Stando a questo articolo del quotidiano Il Post molti spazi che precedentemente erano destinati alle imprese potrebbero essere riconvertiti in spazi aperti al pubblico: musei, cinema, ristoranti, palestre, asili nido. Ovviamente queste sono tutte attività che fioriranno dopo la fine della pandemia. Lo smart-working avrà anche l’inevitabile effetto di diminuire il sovraffollamento tipico dei centri di grandi città d’Italia e favorire lo spostamento degli abitanti verso zone più periferiche. Un cambiamento che è senz’alto positivo.
Vogliamo concludere dicendo che nonostante l’incertezza e la preoccupazione questi sono tempi senz’altro interessanti, pieni di cambiamento e soprattutto un’opportunità di rigenerazione.